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ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL COVID-19 NELLA RPDC

 

Jean-Claude Martini

Delegato Ufficiale della KFA-Italia

Direttore del Centro Studi sul Juche – Toscana

e del Gruppo di Studio di Fermo del Kimilsungismo-Kimjongilismo



Il mese di maggio di quest'anno si è contraddistinto, oltre che per i vari eventi che si susseguono senza sosta in campo internazionale, per lo scoppio del primo focolaio di Covid nella Repubblica Popolare Democratica di Corea dopo due anni che il Paese si era mantenuto stabilmente a quota 0 contagi.

Il governo popolare coreano ha messo in campo una risposta immediata, tempestiva ed estremamente efficace: il 12 maggio il Partito del Lavoro di Corea ha convocato l'VIII sessione dell'Ufficio Politico dell'VIII Comitato Centrale1, nella quale si è data informazione che alla fine di aprile ha iniziato a diffondersi la variante Omicron (BA.2) del Covid-19 nel paese. A seguito delle aspre critiche rivolte al settore antiepidemico, l'UP ha decretato il passaggio dal sistema di prevenzione statale al sistema di profilassi di massima emergenza, mettendo così in lockdown l'intero territorio nordcoreano dal 14. La Commissione Militare Centrale del Partito ha assunto un ruolo di primo piano nella gestione dell'emergenza, organizzando e inviando medici militari a fornire medicinali alle farmacie (di cui si è decretata l'apertura H24 su tutto il territorio nazionale) e a visitare gli ammalati nelle loro case per curarli e incoraggiarli. In base all’ordine speciale da essa emanato, circa 3000 medici dell’Esercito Popolare di Corea sono stati inviati in centinaia di farmacie a Pyongyang per effettuare il trasporto e la consegna dei medicinali. Secondo i dati, decine di milioni di medici di oltre 90 branche sono stati inviati a Pyongyang e in altre province soltanto il 24 maggio e, agli inizi di giugno, questa cifra è aumentata a più di 360 milioni da più di 430 branche.

In tutta la Corea popolare circa 500 gruppi mobili antiepidemici e di diagnosi rapida e gruppi di trattamento hanno condotto diagnosi confermative, trasporto e trattamento dei casi e altre tipologie di lavoro antiepidemico. Più di un milione di lavoratori sanitari e insegnanti e studenti delle istituzioni di medicina e attivisti dell’igiene sono stati mobilitati per i trattamenti, gli esami e le sanificazioni. Migliaia di ex sanitari in pensione e altri ancora hanno preso parte volontariamente al servizio sanitario. I volontari hanno partecipato altresì al lavoro di stabilizzazione delle vite del popolo. Sono stati organizzati circa 10.000 gruppi mobili di servizio in tutto il paese e più di 160 carri di verdure, alimenti e articoli di uso quotidiano sono stati smistati nei distretti della sola Pyongyang.

Contemporaneamente, si è predisposta la sanificazione di tutti i locali, decine di distributori automatici di medicinali sono stati installati in ogni parte del Paese e le masse popolari hanno assunto un ruolo da protagoniste nella campagna di prevenzione che è stata ribattezzata dal Partito come “guerra antiepidemica”: chirurghi, studenti e insegnanti delle facoltà di Medicina, ex medici in pensione, tutti hanno dato il loro contributo aiutandosi e dirigendosi vicendevolmente. Kim Jong Un stesso si è posto a capo di questa battaglia assumendosene personalmente la responsabilità: in più occasioni ha fatto preparare medicinali da spedire, a nome della sua famiglia, agli ammalati di ogni parte della RPDC; ha visitato il Centro Statale della Profilassi d'Emergenza il 13 maggio2 e ha presieduto le riunioni dell'Ufficio Politico del 143, 154, 215 e 29 maggio6 e quella del Presidium dell'UP svoltasi il 177. Ha inoltre visitato alcune farmacie a Pyongyang, informandosi dettagliatamente a proposito di come i medicinali venivano distribuiti e immagazzinati, se le farmacie restavano aperte 24 ore su 24, quali tipi di medicinali erano i più richiesti e quanto costavano. Ha chiesto alle farmaciste di dirgli quale ritenevano fosse il miglior metodo di trattamento e come avrebbero visitato qualcuno con la febbre. Quindi ha fatto sì che tutti i funzionari correggessero i difetti nel sistema di distribuzione dei medicinali e adottassero delle misure efficaci relativamente al loro trasporto8. Merita inoltre ricordare che molta attenzione è stata prestata non solo alle cure e ai trattamenti (si è inserito nel protocollo sanitario anche la medicina tradizionale Koryo), ma anche e soprattutto alla rassicurazione della popolazione. Essa è infatti ben cosciente che, se trattato bene e tempestivamente, questo virus è poco più di un'influenza e che i rimedi popolari, combinati con i medicinali moderni, sono i migliori9. Si è dunque proceduto senza remore alle terapie domiciliari, in Italia invece osteggiate e denigrate per due anni a favore della folle linea della “tachipirina e vigile attesa”, così come in Cina e a Cuba socialiste si è fatto largo uso del plasma iperimmune e dell'idrossiclorochina.

«Per noi, la paura antiscientifica e la mancanza di fede e di volontà sono un nemico più pericoloso del virus maligno», ha segnalato il compagno Kim Jong Un alla succitata riunione dell'UP del 12 maggio. Guardando alla situazione del nostro Paese, è impossibile dargli torto: a cosa ha portato la campagna mediatica di terrorismo e paura letteralmente antiscientifica (perché ingiustificata per un virus dalla letalità non superiore allo 0,5%, tanto più dopo giorni, settimane e mesi passati a incitare la gente ad abbracciare i cinesi tra un “aperitivo antirazzista” sui Navigli e l'altro) che le autorità politiche e sanitarie hanno diffuso in Italia per due anni? Al collasso del sistema sanitario dopo che al primo colpo di tosse le persone, prese dal panico, si riversavano in massa negli ospedali credendo di essersi contagiate e di essere a un passo dalla morte; alla polarizzazione della società in “negazionisti” e “covidioti”, con la rottura di relazioni amichevoli, famigliari, sentimentali; alla crescente sfiducia nella medicina, per via delle continue contraddizioni in cui sono caduti più e più volte gli pseudoscienziati del fu “comitato tecnico-scientifico” e i cosiddetti virologi che presenziavano più gli studi televisivi che le corsie degli ospedali e i laboratori; soprattutto, all'uso del terrore come piede di porco per sopprimere brutalmente quanto restava della Costituzione democratico-borghese del 1948 a colpi di DPCM, circolari ministeriali e abominevoli discriminazioni di ogni sorta, sia nella vita sociale che nel mondo del lavoro.

Alla V sessione plenaria allargata dell'VIII Comitato Centrale del Partito del Lavoro di Corea, svoltasi tra l'8 e il 10 giugno10, Kim Jong Un ha segnalato tra le altre cose che la campagna di prevenzione in Corea del Nord “non si basa sugli apparati istituzionali o su mezzi tecnici e materiali, bensì sull’unanimità volontaria degli abitanti, e che si può ottenere la grande vittoria solo appoggiandosi alle masse popolari e con l’inclusione di tutte loro”. In breve, egli ha praticamente detto che nella RPDC non c'è stato bisogno, appunto, di DPCM, circolari ministeriali, obblighi vaccinali, Green Pass o App Immuni perché l'unità e la fiducia delle masse popolari nel sistema socialista, che istituzionalizza il loro potere, hanno tolto già in partenza la base materiale e di principio per una presupposta necessità repressiva dal momento che sono le masse stesse a prendersi cura della propria salute a livello sia individuale che collettivo. Come abbiamo visto, nella Corea socialista esse sono state protagoniste nella battaglia antiepidemica e, unite al Partito e al Leader, sono emerse vittoriose nell'attuazione con spirito combattivo di misure giuste e razionali. Il lockdown è infatti durato soltanto lo stretto necessario (due settimane, dal 14 al 29 maggio) e i casi giornalieri hanno continuato a diminuire a una media del 6,1% dal 15 maggio; tra le 18:00 del 1 luglio e la stessa ora del giorno seguente si sono registrati 3.540 casi e 4.490 guarigioni. Dalla fine di aprile alle 18:00 del 2 luglio si sono avuti 4.752.080 casi, di cui 4.745.580 guarigioni (99,863%) e 6.430 persone sotto trattamento (0,135%)11.

A differenza dell'Italia, infatti, nella comunicazione mediatica della RPDC si è sempre data maggior preminenza al numero dei guariti rispetto a quello dei morti, che sono comunque stati 71 su una popolazione di 24 milioni di persone.

Si tratta di dati perfettamente in linea con la tendenza mondiale: secondo i dati dell'OMS e del John Hopkins COVID Resources Center, la percentuale di guariti e sopravvissuti al Covid in aree come l'Africa, la Cina, l'India, gli Stati Uniti e in paesi come il Brasile, il Regno Unito, il Belgio, la Spagna, l'Italia e l'Australia, spazia dal 99,93% al 99,99%.

Merita inoltre sottolineare che mai fino ad ora, nel contesto di questa emergenza, nella RPDC si è parlato di vaccinazioni come soluzione al problema. Vi è chi di tanto in tanto ricorda che anche il Paese starebbe sviluppando un suo proprio vaccino anti-Covid, ma sui media nordcoreani si trovano soltanto due notizie a tal riguardo, datate 8 maggio e 18 luglio 2020. Nella prima si dà conto che il Ministero della Salute Pubblica «ha istituito il sistema di informazione antiepidemico di emergenza statale e ha accumulato i materiali necessari per il lavoro antiepidemico di massima emergenza, proseguendo attivamente con lo sviluppo del vaccino contro il virus», mentre nel secondo si comunica lo sviluppo di un candidato vaccino basato sull'enzima convertitore dell'angiotensina II (ACE2) che avrebbe «superato i test di immunogenicità e sicurezza sugli animali», cioè la fase 2 delle quattro previste da protocollo. Da allora, e sono passati quasi due anni, non se ne è più parlato né si sono date altre informazioni sullo stato del suo sviluppo e approntamento. Al di là del fatto, non trascurabile, che quest'ultima notizia è uscita in un momento in cui tutti i paesi del mondo, da quelli della UE alla Russia e alla Cina, erano impegnate nella “corsa” a chi avrebbe immesso per primo i suoi vaccini sul mercato, le eventualità sono due: o si è abbandonato il progetto vista l'inefficacia di tutti quelli finora utilizzati, oppure è anche probabile che il vaccino nordcoreano uscirà “a sorpresa” senza alcun preavviso, ma in tal caso sarebbe lo stesso che è stato elaborato due anni fa, per il SARS-CoV-2 per come si conformava nel 2020. Non essendo tarato sulle varianti, più aggressive e resistenti, sin qui sviluppatesi proprio a causa delle vaccinazioni premature, in questa evenienza l'efficacia del vaccino nordcoreano sarebbe letteralmente nulla anche perché parliamo di un virus che muta con estrema rapidità e che, tra l'altro, non è mai stato isolato. Non è certamente da escludersi neppure l'ipotesi che, scartato il progetto di vaccino originario, a Pyongyang si siano messi a lavorare su un altro vaccino, basato sulle varianti susseguitesi in quest'ultimo anno, e che ne annuncino le somministrazioni senza aver comunicato a nessuno i procedimenti da loro seguiti; tuttavia non bisogna dimenticare che, per quanti sforzi si congiungano, un vaccino propriamente inteso richiede anni prima di essere definitivamente approntato, e quindi saremmo sempre al punto di partenza.

Rimanendo in tema, va sottolineato che i media della RPDC sono stati gli unici in tutto il campo socialista ad aver espressamente messo in guardia contro la concezione scientista del “vaccino come panacea”: il 4 maggio 2021 sul Rodong Sinmun è uscito un articolo centrale a firma di Ri Kwang, intitolato Affrontiamo fino in fondo la prolungata situazione epidemica maligna, in cui si dice a chiare lettere:


«Con quasi 100.000 infezioni registrate in tre giorni, molti pazienti che non hanno ricevuto assistenza medica muoiono ogni giorno a causa della paralisi del sistema sanitario esemplificata dalla mancanza di ossigeno e di posti letto per pazienti critici.
Anche la realtà di altri paesi sta dimostrando chiaramente che il vaccino non è una panacea.
Alcuni vaccini, valutati come di eccellente efficacia, hanno provocato gravi effetti collaterali e hanno persino causato dei morti, ragion per cui molti paesi ne hanno già interrotto l'uso e sono stati confermati casi di contagio tra coloro che sono già stati vaccinati.
In questo contesto, il virus maligno continua a causare varie mutazioni in vari paesi e sta attaccando l'umanità in modo ancora più terribile»12.

Nell'articolo non mancano neppure critiche alla UE e persino alla Cina, le quali hanno esultato per l'approntamento dei primi vaccini (UE) o hanno esportato i propri all'estero, ritenendo e dichiarando finita l'emergenza, per poi venire nuovamente travolti dalle varianti (Cina). In questo contesto, si sottolinea come la scelta nordcoreana di puntare tutto sulle chiusure e le quarantene sia la più sicura e la più efficace, il che, da un punto di vista non solo sanitario ma anche logico, è talmente vero da sembrare quasi un'ovvietà: se rimani chiuso in casa, il virus non circola perché non ha dove insediarsi. Il punto non è infatti se restare a casa oppure no qualora necessario, ma il fatto che nei paesi capitalisti i proletari, le masse popolari, sono stati in tutto e per tutto lasciati a sé stessi, privati del lavoro, di ogni mezzo di sostentamento, a morire di fame e di paura senza nemmeno la consolazione della vicinanza dei propri cari. Questo perché il socialismo è il sistema più progredito, incentrato sulle masse popolari, i loro bisogni e i loro interessi, a differenza del capitalismo che si basa sulla necessità spasmodica del profitto per ogni singolo capitalista al fine di restare a galla nel magico mondo della concorrenza e del “libero mercato”.

Diverso è invece il discorso da farsi per quanto riguarda l'epidemia intestinale recentemente scoppiata nella città di Haeju, per la quale si è annunciato un programma di vaccinazioni13. Tale epidemia è con ogni probabilità riconducibile a un rotavirus, unico virus intestinale della famiglia dei caliciviridae per il quale già esiste, da anni, un vaccino ampiamente sperimentato. Nonostante la sua elevata mutevolezza, il fatto che, a differenza del SARS-CoV-2, sia stato isolato e se ne conoscano le caratteristiche, come la sua incidenza in contesti sanitari particolari, ha sicuramente aiutato nel ridurne la dannosità.

Sempre nell'articolo, si nota anche che: «L'epidemia globale è diventata letteralmente un severo banco di prova, rivelando innumerevoli problemi in ogni paese e regione, che vanno dalla mancanza di leadership a contraddizioni istituzionali profondamente radicate e conflitti ideologici e razziali sempre più numerosi». Anche questa è un'osservazione estremamente arguta e frutto di una conoscenza sicuramente profonda delle società occidentali da parte dell'articolista. Ma solo degli stupidi o dei traditori in malafede, come i “compagni per Draghi” nostrani, potevano intendere queste parole come un invito a rinunciare ai “conflitti ideologici e razziali” (cioè, in ultima analisi, alla lotta di classe) e a sottomettersi alla classe dominante in nome della “comune lotta al virus”. Al contrario: il compagno Ri Kwang evidenzia la superiorità della gestione socialista dell'emergenza sanitaria assieme al fatto che quest'ultima ha scoperchiato il vaso di Pandora che già da tempo andava incrinandosi nei paesi capitalisti. Le guerre tra bande in seno alla classe dominante, la mancanza di unitarietà nella comunicazione mediatica e istituzionale, la crescente repressione delle masse popolari con annessa regressione in termini di conquiste di civiltà e diritti sociali hanno fatto sì che il Covid abbia rappresentato la classica “goccia che fa traboccare il vaso”, portando alla deflagrazione di tutte le storture e le brutture del mondo capitalistico che a questo punto sono diventate evidenti e sotto gli occhi di chiunque ne abbia per poter (e voler) vedere. Questo è ciò che ha inteso dire Ri Kwang.

Alcuni sedicenti amici della Corea popolare e dei paesi socialisti hanno, per così dire, “espresso rammarico” perché a detta loro i compagni che hanno rifiutato o comunque messo in dubbio la narrazione pandemica avrebbero inalberato l'articolo di Ri Kwang come un “manifesto no vax” (qualsiasi cosa ciò voglia dire). Già dalla terminologia usata si può facilmente capire come questa sia un'affermazione francamente imbecille, e uso questo termine perché nessun sinonimo renderebbe l'idea dell'immensità e della ridicolaggine di una tale castroneria.

Quanto detto dai compagni coreani l'anno scorso relativamente al fatto che i vaccini (transeat sull'esattezza scientifica di questa definizione per le immunoprofilassi da Covid, che qui impieghiamo solo per comodità espositiva) non garantiscono dal contagio e non forniscono alcuna protezione, ma anzi provocano spesso e volentieri reazioni avverse anche gravi fino alla morte, è né più né meno di quanto affermato nelle piazze mediaticamente etichettate come “negazioniste” da Firenze a Cesena passando per Roma, Milano, Torino e altre città d'Italia e anche d'Europa e del resto del mondo. Si può, quindi, ritenere corretto che una stessa cosa detta dai giornalisti di un paese socialista e dalle masse popolari e dai medici e ricercatori radiati in lotta contro le politiche antipopolari dei paesi capitalisti possa essere giusta o sbagliata a seconda della simpatia che proviamo per chi la dice? Ovviamente, no. Una verità comprovata col metodo scientifico dell'osservazione, messo a punto da un certo Galileo Galilei, è tale a prescindere che la affermi un Rizzo piuttosto che un Paragone, un operaio della GKN o un Briatore, un militante di Potere al Popolo o uno di Forza Nuova. Tre più due fa cinque, all'inverno segue la primavera e a livello del mare l'acqua bolle a cento gradi. È oggettivo. Non a caso la RPDC ha rifiutato, a luglio e settembre 2021, i vaccini di AstraZeneca e i SinoVac proprio per via degli effetti avversi14, non accettando neppure gli Sputnik15.

Il 30 giugno si è finalmente scoperta la causa del primo focolaio di Covid nel Paese: all'inizio di aprile, un militare di nome Kim (18 anni) e un bambino dell'asilo di nome Wi (5 anni) sono entrati in contatto con alcune «cose strane»16 in una collina attorno alle caserme e ai quartieri residenziali della comune di Ipho (provincia del Kangwon, in prossimità del confine tra le due Coree) e si sono riscontrate in loro le caratteristiche cliniche considerabili come sintomi principali del Covid-19. Sono inoltre risultati positivi al tampone per il SARS-CoV-2. Resta comunque un “punti oscuri” a tal riguardo: sul sito dell'OMS la situazione del Covid nella RPDC, aggiornata al 1 luglio, continua a registrare zero contagi e zero decessi17. Quanto realmente conta e collabora con le istituzioni nazionali, dunque, il suo ufficio a Pyongyang?

Ciò detto, è innegabile che, come hanno peraltro fatto notare pure i compagni cubani18, la strategia del “Covid Zero” è assurda e nella RPDC ha purtroppo registrato un nuovo e più pesante fallimento. A tal riguardo, mi è capitato pochi giorni fa di rileggere per caso un documento diffuso a settembre da un certo organismo della sinistra borghese, e firmato certamente non per caso da tutti i “compagni per Draghi” che imperversano su Facebook (e basta, ovviamente). In esso si sciorinano una serie di falsità e luoghi comuni con sopra appiccicata l'etichetta del “metodo scientifico marxista” (in realtà volgare positivismo borghese), dando contro ai cosiddetti “no vax” e “cospiranoici” (sic) e agitando lo spauracchio della “destra conservatrice e neocon”, perché ovviamente i cospiranoici sono sempre gli altri. Senza dilungarmi e andare perciò fuori tema, direi che la vita e la realtà hanno dimostrato con fin troppa eloquenza chi ha avuto ragione, se la sinistra fucsia reazionaria e falsamente comunista o i “cospiranoici”, se la strategia assurda del “Covid Zero” o la politica logica e razionale di convivere con il virus, come da sempre facciamo con milioni di altri virus (decine di migliaia di persone muoiono ogni anno di raffreddore, da sempre). La scienza, è bene che si torni a saperlo, non è un dogma e non sta al di sopra delle classi: ogni scienziato, ogni studioso, ogni ricercatore affermerà ciò che gli viene imposto di dire da chi gli paga lo stipendio. In uno scritto dei Quaderni del carcere poi incluso nella raccolta La filosofia storica e il materialismo di Benedetto Croce, il compagno Gramsci ebbe a scrivere:


«Le verità espresse dalla ricerca scientifica non sono verità assolute e definitive, ma sono approssimazioni storiche, e la scienza è un movimento in continuo sviluppo. Se infatti le verità scientifiche fossero definitive, ed acquisite definitivamente su un piano assoluto e metastorico, la scienza come tale avrebbe cessato di esistere. Si ha quindi che la scienza è una categoria storica; essa offre parametri di interpretazione delle realtà che sono variati e varieranno con il variare delle epoche storiche. […] In realtà anche la scienza è una superstruttura, una ideologia. La scienza quindi non ha una sua validità assoluta, al di là del tempo, ma rappresenta nella sua storia il riflesso dei rapporti di forza reali all'interno delle classi e dei modi di produzione».

Nel settimo paragrafo del quarto Quaderno, ritroviamo:


«La scienza è anch’essa una superstruttura. Ma nello studio delle superstrutture la scienza occupa un posto a sé, per il fatto che la sua reazione sulla struttura ha un carattere di maggiore estensione e continuità di sviluppo, specialmente a partire dal 700, da quando fu fatto alla scienza un posto a parte nell’apprezzamento generale. Che la scienza sia una superstruttura è dimostrato dal fatto che essa ha avuto periodi interi di eclisse, scacciata un un’ideologia dominante, la religione soprattutto: la scienza e la tecnica degli arabi apparivano come stregoneria ai cristiani. La scienza non si presenta come nuda nozione obbiettiva mai; essa appare sempre rivestita da una ideologia e concretamente è scienza l’unione del fatto obbiettivo e dell’ipotesi o di un sistema di ipotesi che superano il mero fatto obbiettivo»19.

I grandi dirigenti coreani non erano assolutamente estranei a questa verità. In un colloquio coi funzionari del Ministero della Salute Pubblica in data 20 ottobre 1966, il Presidente Kim Il Sung fece notare:


«La scienza medica socialista e popolare è radicalmente diversa dalla medicina borghese.
La medicina borghese non presta alcuna attenzione alla prevenzione. Per sua natura, la società borghese non può far nulla per impedire che la gente si ammali. Questo perché la prevenzione delle malattie non rientra negli interessi dei capitalisti. Puntando a vendere quanti più medicinali possibile, costoro provocano anzi le infermità col desiderio che un gran numero di persone ne cada vittima»20.

Analogo concetto fu ribadito dal Presidente Kim Jong Il in un discorso ai quadri dirigenti del Comitato Centrale del Partito il 7 ottobre 2011:


«La nostra medicina socialista è una medicina preventiva.
Ciò dimostra con chiarezza il nobile carattere popolare della nostra medicina, la quale differisce fondamentalmente da quella capitalista, che prima crea il malanno e poi somministra la cura»21.

Si potrebbe tuttavia citare anche il Discorso ai lavoratori dell'insegnamento superiore, che Stalin pronunciò il 17 maggio 1938, piuttosto che ricordare le posizioni e le tesi di altri statisti fautori dell'indipendenza e della sovranità, da Gheddafi a Lukashenko passando per Evo Morales e Putin, per chiedere ai nostri “comunisti draghisti” se anche costoro possono essere definiti “cospiranoici” o “QAnon al soldo di Bolsonaro”.

In conclusione, tengo a sottolineare ancora una volta che i paesi socialisti hanno adottato le politiche e la linea più giusta per i loro contesti specifici. Nessuna delle aberrazioni che si sono viste in Italia o in altri paesi imperialisti hanno avuto luogo nei paesi che hanno tenuto alta la bandiera rossa; gli eccessi che si sono viste in uno di questi sono stati esemplarmente puniti in seguito a tempestiva indagine e scoperta dei colpevoli nelle istituzioni. È quantomeno fuori luogo e fuorviante mettere a paragone la realtà dei paesi del socialismo col mondo capitalista, senza nemmeno porsi il problema di trasformare quest'ultimo instaurando a nostra volta il potere popolare. “Pensare agli altri” e “rivendicare misure di tutela delle masse” alla classe dominante non è di per sé dimostrazione di essere comunisti, giacché sono parole d'ordine che inalbera anche la Caritas o qualsiasi associazione di cattolici progressisti. Il tempo delle rivendicazioni è finito e oggi può significare solo sottomissione al capitalismo e rinuncia alla capacità di pensare e vedere oltre l'esistente, in una parola: riformismo. La borghesia imperialista non fa ciò che fa per cattiveria, stupidità o miopia, ma perché è il suo stesso sistema socio-economico che glielo impone: ogni singola fazione deve accaparrare quanti più profitti possibile per restare a galla (in una bagnarola sempre più traballante a causa della crisi generale del capitalismo), non importa quanto abietto, disumano o criminale. Anzi, più delinque e più guadagna, poiché ciò rende di più e costa di meno.

Noi dobbiamo, e i compagni coreani ce lo insegnano insistentemente ormai da decenni, trovare la nostra via al socialismo e agire in piena indipendenza da padroni della rivoluzione e dei destini nostri e delle masse popolari, non copiare meccanicamente e acriticamente altri. Esattamente qui sta la differenza fondamentale e di principio tra i comunisti e i tifosi da stadio.


3 luglio 2022

20Kim Il Sung, Opere, vol. 20, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 1984, pag. 453 ed. ing.

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